Materiali naturali, bioarchitettura e chi più ne ha più ne metta...
Questo nuovo “fermento ecologico” è genuino o frutto di una tendenza glamour che interpreta attualità e senso comune? Difficile dirlo con certezza; c’è da augurarsi che sia l’inizio di un percorso intrapreso a livello globale e che investa, pertanto, tutti gli aspetti della vita sul pianeta. Per ora prendiamone atto, ma con riserva.
D’altra parte è difficile affrontare qualsiasi tematica ecologica senza derivare in luoghi comuni e banalità. Considerando infatti la complessità della realtà umana, è arduo concepire un ritorno pressoché totale all’uso di materiali naturali, quando gran parte di quelli ritenuti essenziali ed indispensabili sono di sintesi. Inoltre, non tutto ciò che comunemente è considerato “naturale” è privo di controindicazioni per l’utente e per l’ambiente.
Ho motivo di ritenere che la risposta corretta a questa diffusa domanda di naturalità sia da ricercare nella “ecosostenbilità” dei prodotti piuttosto che nella loro appartenenza ad una determinata categoria, perché nella seconda ipotesi è facile il condizionamento ideologico.
In sintesi e sempre a mio parere, si può definire ecosostenibile, un materiale il cui processo produttivo e smaltimento abbiano il minor impatto ambientale possibile; poco importa se di sintesi o naturale.
Naturalmente i derivati vegetali, i lapidei, ecc. mantengono ancora il primato di ecocompatibilità, perché la loro riconversione in prodotti primari è più semplice e può avvenire, in teoria, anche sensa apporto umano. Ma non potremo disboscare o cavare pietra in eterno, vi pare?
Ha senso affermare quindi, che nel prossimo futuro l’approccio corretto allo studio e produzione di nuovi materiali e non, dovrà comprendere un percorso completo del prodotto, che ne comprenda cioè anche lo smaltimento e riutilizzo.
Noi saremo sempre attenti al nuovo, ma con atteggiamento critico, obiettivo; l’era del “vendere per vendere” appartiene alla preistoria…
Alessandro Giunti